

Obsoleto Magazine nasce come spazio narrativo e visivo, un dialogo tra passato e presente dentro
il linguaggio della moda. È un luogo dove la memoria, le estetiche d’epoca, i riferimenti artistici si
intrecciano creando racconti che frammentano il tempo.
Ogni numero avrà due uscite al mese, ciascuna pensata come una finestra tematica sulla cultura, sull’arte e sul design della moda, reinterpretati attraverso lo sguardo di Obsoleto. I contenuti saranno sempre intrecciati alla collezione in corso, così da creare continuità tra prodotto, racconto e immaginario.
Cosa puoi aspettarti:
Approfondimenti : su figure chiave, fotografie, movimenti culturali e riferimenti che risuonano con lo spirito della capsule collection.
Anteprime selezionate: temi legati alle collezioni future, tendenze emergenti, spunti visivi tratti da archivi e cultura contemporanea, pensati per stimolare curiosità e generare attesa.
Tutto all’interno di una narrazione che intreccia memoria, estetica materiale e sguardo critico.
Obsoleto Magazine non è solo un magazine.
È un percorso estetico attraverso il tempo, che invita a guardare indietro per mettere a fuoco il presente attraverso lo stile, i tessuti, le stampe e i silenzi tra le cuciture.

La t-shirt bianca non è mai solo bianca
Da Marlon Brando alle sottoculture: storia di un capo che non ha bisogno di
presentazioni.
Non ha una stagione, non ha un colore, non ha un’epoca: la t-shirt bianca è il capo più democratico della storia della moda.
Nata come indumento intimo militare, adottata dalla U.S. Navy nel 1913 ha attraversato guerre, schermi cinematografici, sottoculture e passerelle.
Un capo semplice. Ma mai neutro.
Negli anni ’40, i soldati americani rientravano a casa indossandola fuori dall’uniforme, accanto a sigarette e sorrisi post-bellici. Era il preludio di una nuova estetica: spoglia, diretta, autentica.
Poi arrivarono Marlon Brando e James Dean. Due corpi, due film, e la t-shirt divenne simbolo di ribellione silenziosa, carica di tensione erotica e sfida sociale. Da capo tecnico a segnale culturale.
Negli anni ’60 e ’70 diventò pagina bianca su cui scrivere tutto: messaggi di pace, slogan politici,
stampe artistiche. La t-shirt entrò nel lessico visivo delle subculture dai biker ai punk, dai beatnik
agli hippie ognuno reinterpretandola come codice identitario.
Negli anni ’80, tra Vivienne Westwood e Katharine Hamnett, la maglietta bianca si fece militante.
Negli anni ’90 divenne materia da studio: Ann Demeulemeester, Helmut Lang, Martin Margiela ne
hanno fatto un laboratorio sul fit e sulla presenza/assenza.
Nel 2000 esplose la logomania. Ma chi continua a indossarla semplice magari un po’ rovinata, con
una piega stanca sa di fare una scelta.
Tornare alla t-shirt bianca oggi significa sottrarsi. Significa affidarsi a un gesto senza rumore.
Non è mai solo un capo. È archivio, pelle, memoria.
Ed è anche per questo che è una delle fondamenta visive di Obsoleto:
non perché sia trendy, ma perché resiste al tempo senza mai perdere senso.